L’attore più elegante del cinema americano – quello che ha illuso tutti che la felicità (primo diritto sancito dalla Costituzione di quel Paese!) fosse a portata di mano – nacque in realtà a Bristol, Inghilterra, il 18 Gennaio 1904, Capricorno, come Archibald Alexander Leach, più noto col nome d’arte di Cary Grant. Ce ne sarebbe un altro a contendergli lo scettro, avendo il vantaggio di essere indenne dalla forza di gravità, e cioè Fred Astaire, vero nome Frederick Austerlitz (il padre era austriaco di origine) nato a Omaha nel Nebraska il 10 Maggio 1899, segno zodiacale Toro. Ma Fred Astaire apparteneva ai prodigi della natura, era quello che i latini avrebbero definito Monstrum, e il suo fisico asciutto e flessuoso anche in tarda età, gli permisero di non cambiare mai la taglia, nemmeno da adorabile vecchierello. Ammetterei in questo aeropago di fortunati anche Gary Cooper (“l’attore di fronte al quale mi trasformo in una fanciulla adorante” come diceva Orson Welles), nato a Helena, nel Montana, il 7 maggio 1901, dunque Toro anche lui. Distintissimo sia in uniforme sia in abito da sera, in completo sportivo o braghe di pelle da cow-boy, altro benvoluto dagli dei qualsiasi cosa facesse, qualsiasi straccio o dinner-jacket lo fasciasse.


Di poco più giovane, Cary Grant era ugualmente prestante e ben fatto (1,85 di altezza, 81 kg di peso… i sarti si commuovevano perfino a prendergli le misure!) ma aveva proporzioni più umane e normali. Si poteva insomma scambiarlo per uno di noi e illuderci, mettendoci a dura dieta, di poterlo imitare. In Italia si rivolse ai Caraceni per più di un abito e a Pasquale Avon Celli (altro baluardo milanese) per la celebre maglieria estiva, senza trascurare Truzzi per cravatte e foulard. A Londra si serviva ovviamente in Savile Row, la celebre via dei sarti: da Hawes & Curtis, da Norton & Sons, da Henry Poole & Co, da Cordings per gli abiti più sportivi. Le scarpe invece se le faceva fare da Lobb o da Nikolaus Tuczek. Negli ultimi anni si rivolse frequentemente a sarti di Hong Kong perché replicassero senza deflettere alcuni capi intramontabili del guardaroba, mentre a Beverly Hills aveva invece un suo sarto prediletto, Quintino, che gli seguiva e rinfrescava il guardaroba e ogni tanto lo rinverdiva con qualcosa di nuovo, sempre iper classico, la persona che forse lo conobbe meglio.


Questo adorabile attore fu il prediletto di una serie di grandi registi che lo amarono alla follia, a cominciare da Alfred Hitchcock che lo diresse in quattro film, Il sospetto (1941), Notorious (1946), Caccia al ladro (1955) e Intrigo internazionale (1959). Senza dimenticare Howard Hawks, Susanna (1938), Avventurieri dell’aria (1939), La Signora del venerdì (1940), Ero uno sposo di guerra (1949), Il magnifico scherzo (1952), e George Cukor con Il diavolo è femmina (1935), Incantesimo (1938), Scandalo a Philadelphia (1940). Per non dire di altri mammasantissima come Frank Capra, Raoul Walsh, George Stevens, Michael Curtiz, Stanley Donen, Mervyn LeRoy, Josesph Mankiewicz, Leo McCarey, Delmer Daves, Richard Brooks, Blake Edwards, e tanti altri che ad appenderseli tutti al petto come medaglie sarebbe sembrato un generalone dell’Armata Rossa alla sfilata del 1° maggio.

Sembra l’elenco del telefono ma si tratta proprio di quelle eminenti figure che hanno reso il cinema americano un mito per tutto e tutti, almeno finché gli studios non hanno cominciato a replicarlo stancamente e annacquarlo con continue imitazioni di sé stesso. A questo elenco di registi manca quello che più di tutti avrebbe voluto scritturarlo senza mai riuscirvi: si tratta di Billy Wilder, che evitando signorilmente di dire per quali film (non volendo sminuirne gli interpreti) confessa di averlo voluto in più di una occasione ed effettivamente, misurando l’ironia e il gusto per la sottrazione di entrambi, insieme sarebbero stati una coppia meravigliosa: “Tutti vorrebbero essere Cary Grant, perfino io!” si lasciò sfuggire una volta Wilder, e non era una battuta.

Il sodalizio con Hitchcock, che spese per lui le uniche parole di ammirazione mai pronunziate per un attore al di là degli obblighi promozionali (è noto che li considerava cattle, mandria, bestiame, non proprio un complimento!), è quello che resta fissato nelle nostre pupille come un timbro indelebile. In particolare nel capolavoro Caccia al ladro (To Catch a Thief, Paramount Pictures, 1955) dove le riprese automobilistiche della sfavillante Sunbeam Alpine guidata dalla spericolata e ancor più splendida Grace Kelly (che l’anno dopo sposerà Ranieri III ascendendo al ruolo di Principessa consorte), fra le riprese dal vero sulla Corniche che sovrasta il Principato di Monaco e quelle in studio con mascherini e trasparenti, costituiscono buona parte della suspense del film. Annunciando anche il terribile presagio che su quella stessa strada Grace Kelly perderà la vita nel 1982.



Come in molti film Paramount, i costumi erano affidati a Edith Head, un’autorità in materia, capace di mettere in soggezione chiunque. Questo spiega perché Cary Grant si pieghi a indossare capi intesi a enfatizzare l’aspetto frivolo di chi se la spassa in Costa Azzurra, abbastanza lontani dall’abituale sobrietà dell’attore ma “drammaturgicamente” irreprensibili.



Naturalmente il talento e la grande esperienza di Edith Head si esprimono al meglio nei costumi realizzati per Grace Kelly (stavolta senza spartire la gloria con Hubert de Givency come era accaduto in Sabrina di Billy Wilder per gli abiti “parigini” di Audrey Hepburn) che le valsero l’ennesima nomination agli Oscar (nel corso della sua lunga carriera ne vinse 8!) e dei quali si dichiarò sempre molto soddisfatta.

Anche se ci stiamo qui dedicando al guardaroba di Cary Grant, non possiamo non citare almeno due gioielli indossati da Grace Kelly con la naturalezza che avrebbe conquistato il mondo e il cuore di Ranieri III. Si tratta di costume da bagno in bianco e nero con prendisole e dello sfavillante costume settecentesco in tessuto dorato per la scena del Gran Ballo di gala.



Tornando a Cary Grant, all’impeccabile dress code sotto qualsiasi cielo, alla collaborazione col Mago del brivido (come si diceva negli anni Sessanta), non possiamo non citare almeno Intrigo Internazionale (North by Northwest, 1959, diretto e prodotto da Alfred Hitchcock insieme alla Metro-Goldwin-Mayer) dove l’unico abito che indossa – realizzato per lui in Savile Row, la strada dei sarti londinesi, da Kilgour, French & Stanbury, un completo in lana pettinata color grigio tortora, camicia bianca e cravatta di raso grigio – deve passarne di tutti i colori con lui dentro. Pranzi d’affari, inseguimenti di aerei a bassa quota, scazzottate sul monte Rushmore e altre vicissitudini. Si dice che la flemma con cui Cary Grant porta quell’abito e quel personaggio, siano stati d’ispirazione per il James Bond di Ian Fleming, anche se il vestiario di Sean Connery fu disegnato e cucito da un altro famoso sarto londinese, Anthony Sinclair, sarto personale di Terence Young, il regista dei primi film di 007, Licenza di uccidere (1962), Dalla Russia con amore (1963) e Thunderball – Operazione tuono (1965).




Abbiamo visto come tutti lo volessero ma sappiamo che furono diversi i film cui, per varie ragioni, oppose un rifiuto. Nel 1953 aveva rinunciato al ruolo del giornalista a caccia di scoop in Vacanze romane del veterano William Wyler, (lo interpreterà impeccabilmente Gregory Peck) e nel 1954 quello del fratello assennato di William Holden (che sarà rilevato da Humphrey Bogart) in Sabrina di Billy Wilder. Entrambi i film erano interpretati da Audrey Hepburn, l’estrema giovinezza della quale, malgrado l’attrice fosse una delle sue migliori amiche, lo faceva sentire inadeguato. Rimedierà anni dopo quando per fare con lei Sciarada (Charade, 1963, di Stanley Donen) rinuncerà addirittura a Gli Uccelli di Alfred Hitchcok. L’anno prima, temendo forse di apparire ridicolo, aveva rifiutato la parte del professor Humbert (poi assegnata a James Mason) in Lolita di Stanley Kubrick e quello da protagonista (che andrà a John Wayne) in Hatari di Howard Hawks.
Non abbiamo avuto modo di parlare qui delle sue automobili, sarà per un’altra volta. Lo mostriamo però in questa immagine scattata a Berverly Hills con la sua Rolls-Royce Silver Cloud del 1960, una delle sue preferite.
