Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

La Rolls in uniforme. L’anfibia che correva a marcia indietro e sapeva nuotare

La prima auto che mi fu regalata, avrò avuto quattro o cinque anni, era un modellino Dinky Toys di un veicolo militare inglese, una Austin Champ, sconosciuto in Italia e sfornato da poco anche nella patria di origine. Si trattava di un autoveicolo leggero da ricognizione che aveva il compito di sostituire autarchicamente la Jeep americana che aveva equipaggiato l’esercito di Sua Maestà Giorgio VI aiutando la sconfitta dei nazisti e dei loro alleati (giapponesi e italiani, questi ultimi fino all’armistizio dell’8 settembre 1943). La Austin Champ era un’evoluzione molto più raffinata della Jeep, con soluzioni sofisticate che avevano però lo svantaggio di costi molto alti, insostenibili per il Regno Unito stremato dalla guerra, tanto da dover presto “ripiegare” su un modello altrettanto efficiente ma meno dispendioso.

Durante la 2° Guerra Mondiale venne prodotto negli UK un prototipo di veicolo militare 4×2 ma toccherà aspettare il 1947 perché sia messo in produzione il Project Car 4×4 cwt FV 1800 series, l’antenato della Champ. In quell’anno furono assemblati dalla Nuffield Organisation due (forse tre) veicoli conosciuti come prototipi Gutty, motorizzati con un 2000, 4 cilindri contrapposti, il cui telaio e sistema delle sospensioni erano stati progettati da Alec Issigonis (il futuro inventore della Mini). 

prototipo Nuffied Gutty del 1947

Nell’agosto 1948 fu firmato fra War Office e Wolseley Cars il contratto per la fornitura di 12 Mudlarks 4×4 motorizzate con la nuova unità Rolls-Royce B40 a benzina, un 4 cilindri in linea di 2.836 cc con una potenza di 80 hp a soli 1800 giri, che godeva di un’affidabilità che, se purché opportunamente curata, sarebbe divenuta proverbiale.

Nell’agosto 1951 viene firmato un nuovo contratto, questa volta con la Austin (che garantiva i tempi e i volumi di produzione richiesti) per 15.000 veicoli numerati da 001 a 15001. Il capitolato 1 del contratto prevedeva un lotto di 7658 veicoli, esteso poi a 8212 veicoli. Dal telaio 8277 parte invece una nuova configurazione (TRUCK 1/4 TON 4×4 CT FITTED FOR WIRELESS FFW) che terminava con la vettura 11732 e porterebbe dunque il totale a 11.667 veicoli. La cosa straordinaria è che, una volta dismessi, questi mezzi sono diventati oggetti di culto e ne sopravvivono tuttora circa 5.000, qualcuno bisognoso di cure ma in gran parte restaurati dai gelosi proprietari e mantenuti in perfetta efficienza.

Una delle sue caratteristiche era il cambio a cinque marce, senza retromarcia ma dotato di un invertitore di coppia (come sui natanti) che consentiva di andare all’indietro utilizzando tutti e cinque i rapporti. Questa particolarità suggeriva sfide fra i coscritti (severamente punite dagli ufficiali), molti dei quali si sono rotti l’osso del collo per andare a ottanta all’ora a marcia indietro. Aveva la possibilità di bloccare i due differenziali e di inserire mediante una leva la trazione anteriore ogni volta che si fosse reso necessario.

Altra caratteristica della Champ era la perfetta schermatura del motore e dell’impianto elettrico che le permetteva di andare completamente sott’acqua, purché si avesse l’accortezza di sollevare l’apposito snorkel e non staccare mai il piede dell’acceleratore per evitare che l’acqua entrasse dallo scappamento.

1952, prove capacità di guado della Austin Champ

Queste caratteristiche, che nessun altro mezzo militare della sua categoria poteva vantare, le permisero l’impiego su fronti molto diversi tra loro, da Cipro, Malta, Suez, Egitto, Grecia, Birmania, Australia, Africa e dovunque resistessero il Commonwealth o altre forme di protettorato, ma non poté fronteggiare la concorrenza interna della Land Rover che, sia pure molto più convenzionale, offriva prestazioni proporzionate alla normale routine militare e, soprattutto, costava circa un terzo. Dopo aver convissuto per un certo lasso di tempo la Champ dovette cedere lo scettro alla neonata fuoristrada che, malgrado sembrasse disegnata da un bambino con squadra e righello, s’impose in breve nel mondo intero.

Questi mezzi in Italia sono sempre stati rarissimi e, tranne un pugno di appassionati di cui dirò, non hanno mai avuto valore se non di rottame, ammesso che qualcuno li avesse cercati. Per via di quel famoso modellino Dinky Toys io l’ho sempre amata e quando nel 1999 mi capitò di trovarne una, piuttosto mal messa ma originale in ogni dettaglio, non ho potuto resistere. C’è voluto parecchio tempo per rimetterla in efficienza (compresi altri due rottami da cannibalizzare comprati a peso!).

L’artefice prezioso del suo restauro è un meccanico-filosofo di Chiusi Scalo, Enzo Buoni, personaggio al quale dovrò dedicare un giorno o l’altro un romanzo o un film. Senza di lui non sarei mai venuto a capo di nulla, soprattutto per l’arte antica di saper ricostruire i pezzi mancanti e non spaventarsi di fronte a nulla. D’altra parte, fra i mille mestieri della sua vita, c’è stato anche quello di autonoleggiatore e non è un caso che Federico Fellini, quando frequentava la vicina Chianciano, volesse farsi portare in giro solo da lui. Aneddotica di conseguenza ricchissima e molto divertente. Altro supporto fondamentale è stato quello del genovese Franco Gismondi, grande esperto, possessore di una Champ che tiene in esercizio e collettore di amici sparpagliati soprattutto nel Nord, sofferenti della stessa patologia e riuniti nel Registro Italiano Austin Champ.

La Champ, se non viene coccolata, è incline a continui capricci, dall’impianto frenante, alla trasmissione, alle guarnizioni, ai cilindretti, alla carburazione, insomma un sacco di guai la cui accettazione è compatibile solo con l’amour fou o il masochismo. Il club degli appassionati, molto simile a una società di mutuo soccorso, è importantissimo per la reperibilità dei ricambi, inesistente in Italia ma rigogliosa nel Regno Unito, dove tutto costa però un occhio della testa con l’aggravato dalla Brexit e dalle sue brillanti tasse doganali. In questo momento, per dire, la mia giace addormentata per via di una guarnizione della pompa di rimando del carburatore di cui esistono in commercio una decina di varianti. Se qualcuno vi dice che è uguale a quella della Fiat 124 Sport mandatelo a quel paese: mente forse nemmeno spendo di mentire.

Enzo Buoni alle prese con qualche guaio (ne verrà a capo)

Nel Regno Unito, patria dell’automobilismo storico, esiste ovviamente un Austin Champ Owner’s Club, sottoscritto da un migliaio di soci (forse di più, non sono aggiornato) e fondato nel 1997 in Australia da Malcolm Hayes e negli UK da John Mastrangelo, autorità supreme in materia. Il club edita un quadrimestrale molto seguito, miniera di informazione su eventi sociali, compravendite e ricambistica. La Bibbia è il fondamentale AUSTIN CHAMP (THE CHAMP ENIGMA) di Gus Gowers, del 1992, indispensabile per orientarsi e metterci le mani, ricco di illustrazioni e manualistica varia di cui esiste anche la versione online. Con quello sottomano, armati di santa pazienza e privi di fretta, confortati da continui consulti con gli amici, si può venire a capo di tutto.

il motore Rolls-Royce B40 che equipaggia la Austin Champ

Nel manuale le unità motrici sono verniciate in nero. Dopo ogni revisione venivano riverniciare (come le sorelline Land Rover) in un delizioso color acquamarina che ne certificava l’avvenuta manutenzione. Sollevato il cofano dipinto nel severo British Bronze Green militare, appariva questo colorino che dava al feroce mezzo militare un tocco di tocco di improbabile femminilità.

il motore B40 ridipinto dopo la revisione