Era quello che diceva di lui David O. Selznick, il produttore di Via col vento, l’uomo che era riuscito a farselo prestare da Samuel Goldwin (socio del suocero Luis B. Mayer) senza subire interferenze da parte della MGM ma concedendo in cambio di farlo distribuire dal potente studio. Selznick era riuscito ad assicurarsi i diritti del libro della maestrina Margareth Mitchell per un pugno di dollari estromettendola dalle royalty del film (morì povera e sola come nella peggiore tradizione) e arricchendo tutti gli altri. Clark Gable, in quel momento il numero Uno, non riuscì a ottenere una percentuale e per questa ragione i rapporti con Selznick e Goldwin si raffreddarono fino a rompersi e non volle più firmare contratti a lungo termine con nessuno.

Troviamo un’infinità di notizie su Clark Gable nel bellissimo C’era una volta Hollywood di David Niven (Bring On The Empty Horses, Hamish Hamilton Ltd, 1975). I due furono legati da una grande disinteressata amicizia, oltre che dalla passione per la natura, il golf, la caccia e la pesca, e furono entrambi colpiti dallo stesso destino crudele che toccò alle loro mogli: l’adorata Carole Lombard, moglie di Gable, che morì in un incidente aereo nel 1941 durante un giro propagandistico per vendere obbligazioni di guerra dopo l’aggressione giapponese agli Stati Uniti, e l’altrettanto adorata Primula “Primmie” Susan Rollo, moglie di Niven, che morì nel 1946 a 28 anni per un incidente domestico. I due amici si sostennero l’un l’altro, di fecero forza, e si sente nelle righe di Niven a proposito di Gable, una grande ammirazione per le sue doti di attore e l’ancora più profonda stima per l’uomo.

D’altronde The King, come lo soprannominavano (John Wayne era invece The Duke) era amato da tutti nell’ambiente non scevro di invidie della Hollywood del periodo d’oro, fossero produttori, registi, colleghi, semplici maestranze o uffici stampa e giornalisti. Per la puntualità, la precisione, la pazienza e la preparazione sempre impeccabile con cui si presentava a qualsiasi appuntamento e l’affabilità anche verso chi non contava niente nella nomenklatura. Pur avendo una certa dimestichezza col whisky mai capitò che si presentasse alterato o si comportasse in maniera meno che impeccabile. Anche nell’ultimo leggendario film, Gli spostati (The Misfits, scritto da Arthur Miller e diretto da John Huston, 1961 United Artist, The Samuel Goldwin Company, Seven Arts Production) fu l’unico a non creare problemi fra ritardi e bizze di Marilyn Monroe e le crisi depressive di Montgomery Clift. Pochi giorni dopo la fine delle riprese, il 16 novembre 1961, Clark Gable morì d’infarto nella sua tenuta di Encino (l’aveva comprata dal regista Raoul Walsh nel 1938) senza fare in tempo a conoscere il figlio che aspettava dalla quinta moglie Kay Adams.

Come David Niven, che allo scoppio della guerra raggiunse il Regno Unito e si arruolò nell’esercito di sua Maestà Giorgio VI, anche Gable sentì il dovere di combattere per il proprio Paese. Venne addestrato come mitragliere di bordo nell’United States Army Air Forces e partecipò a diverse missioni sopra l’Europa occupata dai nazisti a bordo dei bombardieri americani B-17 Flying Fortress, ottenendo due decorazioni e i gradi di tenente. La sua decisione di arruolarsi arrivò dopo la tragica morte di Carole Lombard e segnò una pausa nella sua carriera cinematografica. Non faceva l’eroe, non fingeva di non aver mai avuto paura. La cosa che veramente lo preoccupava – è sempre Niven a raccontarlo – era l’idea di doversi lanciare con il paracadute. Non tanto per la prospettiva della discesa e dell’atterraggio quanto il pensiero di ciò che avrebbe potuto fargli Hitler all’arrivo: “Quel figlio di puttana mi metterà in una gabbia e mi esporrà in tutta la Germania facendo pagare il biglietto dieci marchi.”.

Clark Gable fu da subito una star e il tenore di vita, anche se non era uno sconsiderato dilapidatore, fu sempre quello di un uomo che voleva scrollarsi di dosso l’umiltà delle origini e godersela finché la pacchia durava. Lo si vede anche dalla scelta delle sue automobili, le migliori del tempo, le più potenti, con un debole per le sportive e per quelle che oggi si chiamerebbero SUV, veicoli da maltrattare nei lunghi tragitti fuoristrada per andare a pesca nelle zone più impervie o a caccia sulle montagne. Ecco una parziale galleria delle sue auto:








