Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Vespa, Lambretta o Ape? Le tre rivoluzioni della mobilità per tutti

Il cambio a bacchetta della Vespa o della Lambretta collocato sul manubrio, a sinistra sotto la manopola, rappresenta il test e il balsamo per eccellenza della coordinazione oculo-manuale del motociclista. Lo stesso avviene quando si preme un grilletto di un’arma da fuoco o si abbandona la freccia dalla corda di un arco teso. Tirare la leva della frizione, rilasciarla dolcemente mentre con la manopola destra del gas si suggerisce al motore di salire un po’ di giri.

Lambretta

Il cervello comanda e asseconda il movimento del polso per inserire la prima marcia, poi libera la frizione e il corpo assume equilibri variabili per aderire al desiderio di procedere nello spazio e nel tempo. Una sequenza ripetuta indefinite volte che funziona come un certificato del neurologo, stai in forma, evita di bere o altro. In scioltezza, senza pensarci su, sennò potresti fare la fine di “quel millepiedi che non fu più capace di camminare dopo che si fu lambiccato il cervello per stabilire in quale ordine muoveva i piedi” (Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco, Adelphi).

Vespa

Dopo le colonie marine, dove il Duce spediva balilla e figli della lupa a curare catarri, rachitismo e malnutrizione, l’Italia, da poco liberata dal fascismo, nel 1947 generò in un colpo due mezzi di trasporto che hanno fatto la storia della locomozione su due ruote. La Vespa Piaggio, con quella poppa alla Botero per via del motore sistemato a destra, più basica, e la Lambretta Innocenti che, per concezione costruttiva era vicina allo sviluppo di una motocicletta.

Entrambe però assolutamente identiche nella modalità della guida, una vera rivoluzione posturale, piedi sulla pedana e freno posteriore a pedale. Movimento e movie, Peppone e don Camillo, Vacanze romane e alzatacce all’alba in un’Italia in cui gli uomini erano per niente stempiati e la brillantina teneva in ordine i capelli su una testa ignara di qualsiasi casco di protezione. Arrivare in fabbrica con la Vespa e i colletti bianchi in Lambretta ha finito con l’essere un lungo lunghissimo piano sequenza della nostra storia sociale, nostalgicamente irripetibile.

Passare dalle due alle quattro ruote era un salto temerario in un Paese che, pur avendo ingranato una marcia appresso all’altra nello sviluppo economico, manteneva viva la tradizione delle tratte, delle cambiali per mezzo delle quali fu possibile acquistare elettrodomestici e arredare le abitazioni degli italiani. Anche l’Ape, figlia della Vespa, nacque per partenogenesi additiva.

Tre ruote erano sufficienti. Piccoli trasporti, che fossero scaldabagni, lastre di marmo o gabbie di galline, soddisfecero la necessità di rispondere alle esigenze delle attività commerciali a fronte di una disponibilità limitata delle risorse economiche. Anzi, la valenza promiscua del mezzo consentiva l’utilizzo feriale e festivo del veicolo. Per il lavoro e per lo svago.

A Mumbai, la vecchia Bombay, il luogo dove è già avvenuta la fusione tra finanza, produzione industriale e cinematografica (Bollywood), l’Ape ormai ceduta dalla Piaggio, continua a circolare in un set di ventidue milioni di persone. In forma di veicolo commerciale e spesso nella livrea di risciò motorizzato. Molto più agile di un pick-up, veicolo distopico e magniloquente, espressione autentica della vita che, per districarsi nella folla, ha bisogno di girare in spazi stretti come in un alveare dove le api ronzano operose e hanno abolito gli specchi per guardarsi inutilmente dentro. Tra un’Ape e un pick-up la differenza la potrebbe fare Clint Eastwood. Giusto lui.