Molto bello lo scritto di Rosario Salamone in memoria di Pietro Coccia (che tra l’altro ha raggiunto ieri il maggior numero di accessi di questo sito), una delle figure care e familiari del cinema italiano. Anche se il suo posto era dietro le quinte o negli esterni chiassosi del tappeto rosso dove, pur invitando il mondo intero a sorridere, rimaneva impassibile come Buster Keaton mentre scattava a ripetizione con l’infinità di macchine e macchinette che l’addobbavano come un albero di Natale. Né si scomponeva davanti ai comportamenti sempre più isterici di star e starlette, ai loro dress code sempre più inverosimili, alla maleducazione ormai imperante dei miracolati, ognuno convinto dell’immortalità del suo istante di gloria.

Come Mario Dondero – altro grande fotografo di cui ho avuto la fortuna di essere amico – Pietro Coccia chiedeva sempre il permesso di fotografare, non richiamava strillando l’attenzione, salutava tutti con l’educazione di un monarca in esilio e non si dava nessuna aria, semmai di fronte a un complimento si confondeva. Molti, davanti a quei modi ormai inauditi, sospettavano la presa per i fondelli, che ci sarebbe stata benissimo dato che in lui, dietro gli occhiali, brillava l’ironia, destinata a cogliere l’aspetto buffo di una situazione e mai a spettegolare, mai a fini di crudeltà o cinico ridimensionamento, più antropologo che paparazzo.

Tanto è vero che da lui tutti si facevano fotografare volentieri e nessuno si è mai negato alle raffiche dei suoi generosi obiettivi. Ci siamo frequentati con una certa continuità in occasione di manifestazioni all’estero, in particolare nel 2018 a New York e nel 2019 a Tokyo, dove, nei pochi momenti liberi, giravamo insieme per mercatini, dato che Pietro aveva molte amiche cui portare regali e ci teneva a non deludere nessuna. Mi rimangono di quei viaggi alcuni scatti in cui si lasciò sorprendere (non amava per niente essere fotografato), sempre impeccabile malgrado il borsone a tracolla, giacca, cravatta e occhiali scuri, pronto per l’evento informale o la Première dell’Anno.

La Ford Anglia 105, una delle auto più infondate scaturite dalla crisi dell’automobilismo britannico, aveva questo grande vantaggio: grazie al lunotto posteriore invertito (come la sorella maggiore Consul 315 o le Mercury Monterey americane) l’apertura del bagagliaio poteva essere molto più larga favorendo lo stivaggio del carico. Tutto qui. Il muso da barracuda non la rendeva piacevole, nessuno avrebbe voluto baciarla trasformando la ranocchia in principessa, e solo l’apparizione nella saga di Harry Potter le avrebbe concesso fortuna postuma. La scelta di averne una mi è sempre sembrata perfetta per Pietro, pienamente in riga con la sua eccentricità, e quando me ne parlò non esitai a fargli un sacco di complimenti.
