Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Pietro Coccia e l’Anglia che ha atteso per anni l’indimenticabile fotografo

Pietro Coccia (@GIAMBALVO&NAPOLITANO)

In via Ombrone, a Roma, nel quartiere Coppedè, “una specie di Disneyland architettonica” come scrive Sergio Delli ne Le strade di Roma, era parcheggiata la Ford Anglia 105 E di Pietro Coccia. Sotto una robinia, con i cavetti della batteria staccati, l’Anglia bianca di Pietro è stata lì ferma ad aspettarlo per anni mentre il grande fotoreporter se ne andava in giro a scattare milioni di immagini alla platea sterminata del mondo del cinema e dello spettacolo.

Ford Anglia 105 E

Pietro, mio studente al liceo Tasso nel 1977/1978, condivideva con il padre Michele, emerito di Letteratura latina alla Sapienza di Roma, un’attitudine bulimica per gli oggetti che contenessero arte e cultura. Ricordo che, dopo la morte del padre nel 2016, una delle questioni che agitava Pietro e il fratello Benedetto e le sorelle Maria e Agata era la sistemazione dei centotrentamila libri stipati in due abitazioni. Tutto il mondo antico, la filologia, la memorialistica bellica, i film in cassetta e CD, le letterature moderne e contemporanee, per farla breve lo scibile in versione integrale, testimoniavano una pulsione irrefrenabile a individuare e raccogliere.

Pietro Coccia (@GIAMBALVO&NAPOLITANO)

Allo stesso modo Pietro, mosso dal sacro furore del collezionista di immagini, percorreva le stagioni dell’anno tra festival del cinema, a Venezia, a Cannes, a Berlino, a Tokyo, a Hollywood a scattare, ma soprattutto a stringere relazioni, amicizie e affetti profondi. Stupiva la sua capacità, ictu oculi, di restituire a qualsiasi immagine il contesto verbale e fisico nel quale era stata fermata nella memoria della macchina fotografica. Anzi era la sua voce narrante, sempre generosa e umanamente interessante.

 Però, credo che fosse tra la fine del secolo scorso e l’incipit di questo, mi piaceva provocarlo sulle ragioni che l’avevano spinto a comprarsi quell’Anglia 105 E. Con quei fanali, quel lunotto ad angolo acuto, quella linea di un british fallato. Una sorta di Trabant, appena più evoluta, fatta circolare nell’Occidente capitalistico. Kant, se l’avessimo portato sotto la robinia di via Ombrone, cosa avrebbe sentenziato? Quale sentimento del bello (brutto) senza interesse avrebbe mai espresso? Il Genio inarrivabile, un tedesco dell’Est, sarebbe mai salito su un’Anglia o su una Trabant?

Lo incalzavo, in fondo in un quartiere dove domina questo immaginifico bric-à-brac architettonico, un’automobile così ci stava proprio di casa. Come in quelle soffitte dove si ammassano senza ordine oggetti e cose e l’informe catasta diventa il bello in sé. Discorsi in libera uscita che con Pietro era possibile e divertente scombussolare nello stagno delle parole.

Pietro ha finito di scattare immagini nel giugno 2019. Le occasioni di babbiare sull’Anglia 105 E avrebbero potuto spingersi più lontano se la vita non fosse poggiata su una botola che precipita d’improvviso nel Nulla.

 

La classe del 1° B, Liceo classico Tasso di Roma (in alto, Pietro Coccia, secondo da sinistra, sotto, Rosario Salamone, primo a sinistra)

Al tuo vecchio professore di filosofia è rimasta in sospeso la domanda che il tempo non ha concesso. “Pietro, ma quanto ti piace farti bello di quest’auto che nessuno possiede? Qual è il segreto che risiede nella bellezza cercata (ἄγαλμα), fosse anche quella di un’immagine o di un oggetto?”.