La sua compagna si chiama Lolita. Pesa 187 chili. È una complice speciale. Stanno insieme dal 2022, stretti l’uno all’altra per ore, giorni, talvolta per mesi: sotto il sole cocente, battendo la strada sabbiosa, “arrampicandosi” controvento o con la pioggia fittissima. Per “aiutarla” lui le ha regalato un oliatore automatico della catena di trasmissione (Scottoiler) e insieme hanno girato, in stretto e largo, Europa, Asia Minore e Asia sud occidentale.
Si sussurrano progetti, entusiasmi e delusioni di Emilio e Lolita, ma più spesso lungo la rotta prevale il silenzio, mentre lei fa risuonare i suoi 80 cavalli sulle ruote tubeless con cerchi da 21 davanti e 18 dietro. Lolita – un’Aprilia Tuareg 660 – quando si parte porta con sé un corredo tecnologico invidiabile (TFT bonded da 5”, mappe motore (AEM), Freno motore (AEB). Emilio giusto un paio di borse, la testa zeppa di pensieri, mappe, farmaci e un inesauribile desiderio di conoscenza. Sono già al terzo anno della loro storia, dopo la messa a riposo della ex Bice: una Bmw R100 Gs Pd, Paris Dakar del 1992, ma stavolta Emilio Radice ha deciso di raccontarla.
Non so se è un vero libro di viaggio quello che ne esce. Oltre il confine della paura – Viaggio in moto nell’Afghanistan dei talebani di Emilio Radice (Edizioni Neos – 15 euro) non so neppure se voglia, davvero, esserlo. Perfino al di là della parola mostrata fin dal sottotitolo. Provo a spiegare. Motociclista di rango, giornalista eccellente, l’autore sembra immune dall’aspirazione manualistica che muove questo genere di volumi e mette insieme pensieri di vario peso che condivide con chi si ferma sulle sue pagine. Una spartizione che compie quasi passasse un quaderno di appunti personali ad un amico sconosciuto: il lettore.

Nell’incontro – che si trasforma a volte in scontro – con le impressioni che srotola durante il suo percorso chilometrico (e interiore) in sella alla sua Aprilia Tuareg 660 con 60 mila chilometri all’attivo, dall’Italia fino alla Turchia, dall’Iran fino alla terra dei talebani, apre pian piano un varco verso uno dei Paesi che fanno più paura ai viaggiatori. Il che è comprensibile visto che si tratta di un luogo distrutto dalle guerre, lacerato dalla povertà, colpevolmente ignaro dei diritti delle donne, ormai avulso dai grandi piani geopolitici del mondo e praticamente “proibito” – su di esso grava addirittura lo sconsiglio della Farnesina – ai turisti.
E allora, perché è andato? ci si domanda. E per di più da solo (per poter scegliere il dove-e-quando in libertà e proseguire il dialogo mai interrotto con sé stesso) sulla strada impervia e pericolosa, come è solito fare. Le risposte (da rintracciare tra le righe di questo piccolo libro) sono molte: sfumate, personalissime, spesso ruvide.

La curiosità verso un’umanità ignota forse è la prima spinta di Emilio motociclista, ardito e pure pacifista, ma a seguire va citata la paura che coglie ognuno di noi prima di sapere, prima di osservare, prima di mettersi in contatto con l’altro, prima di affrontare. Una paura che diventa forza motrice, nonostante tutto. Una paura che si cristallizza nell’esatto istante della partenza: il 15 aprile 2023.
La paura è una ricchezza non sfruttata, è una possibilità di essere e di fare che noi lasciamo inesplorata. È la fantasia che si trasforma in pregiudizio e non diviene conoscenza. È un armadio chiuso…. , scrive l’autore. Masticarla (così dice) significa sostanzialmente abbandonarsi al viaggio senza programmazione e senza preconcetti, evitando l’“effetto diapositive”. E accogliendo i rischi di un Afghanistan dove girano ancora bande armate. Ci sono ordigni e zone minate un po’ ovunque, Non tutto è sotto controllo, ma il desiderio di pace stavolta sembra essere più forte…. E la sede di Emergency a Lashkar Gah è una enclave di etica e di luce in mezzo alla disperazione…

La stessa disperazione che ha colto Daniele Mastrogiacomo, inviato di Repubblica, amico prezioso e prigioniero per quattordici giorni in Afghanistan, trascinato come un bottino di guerra tra montagne, campi e villaggi. È il 5 marzo 2007 quando, insieme all’autista Said Agha e un interprete, Daniele viene sequestrato dai talebani. Il 16 marzo viene annunciato che l’autista è stato sgozzato (perché ritenuto una spia degli inglesi) mentre in Italia cresce la paura e s’intensificano le trattative per il rilascio di Mastrogiacomo, grazie all’intervento di Emergency. Per fortuna dopo giorni di trepidazione l’inviato viene rilasciato: è vivo. È la fine di una vicenda umana dolorosa: per lui, per la sua famiglia, per il Paese. Si stende un velo nero sulla terra dei talebani. Dopo due anni e mezzo dal sequestro, Daniele racconta la sua tormentata prigionia nel libro I giorni della paura (Edizioni e/o).

Ma ora meglio sospendere il giudizio. È la condizione indispensabile per approcciare il diario di viaggio, corredato da fotografie in bianco e nero, che nasce dai post su facebook che Emilio Radice ha condiviso in questi anni con chi lo ha seguito nelle sue spedizioni nelle zone più tormentate del pianeta, in particolare l’Iran. Alcuni di questi post sono pugni nello stomaco, certo, altri rispecchiano una specie di candore cronistico-antropologico che se ne frega delle analisi politiche e non di rado sfida la sorte nel segno della conoscenza. Vi piaccia o no. Un esempio? A Kandhar. ….arrivò la solita Toyota bianca piena di mitraglie e di caricatori. I comandanti. Silenzio attorno, controllo passaporti. Poi quello che sembrava contare di più mi chiese: “Cosa si dice di noi talebani in Italia?”.
Io gli risposi con un filo di sorriso: “Si dice che siete cattivi e che ammazzate tutti”. Si fece una risata e io con lui, ma con prudenza…

Si va avanti a leggere, di rischio in ansia, di intoppo in emozione: quando, da Kandahar a Ghazni, in uno scenario desertico, accidentato, pericolosissimo, lungo, costellato di buche, con l’asfalto deformato dal caldo, la sabbia accumulata sulla carreggiata e le fratture della guerra per decine e decine di chilometri la solitudine prende il sopravvento. La solitudine dell’esploratore contro la socio-allegria del turista a cui siamo ormai cronicamente abituati.

E in quell’inferno percepii per la prima volta un senso di solitudine che non avevo mai provato: la solitudine delle regole, l’assenza delle minime garanzie, la lontananza dai diritti… Unica compagna l’amata Aprilia Tuareg 660 a cui l’autore dedica carezze, pacche sul serbatoio e qualche frase di riconoscenza. Che collaudo spietato per Lolita, ma anche una gran prova di fiducia. Finora in questo viaggio avrà fatto circa 14 mila chilometri – scrive Radice – ed è stata messa in gioco fino all’ultimo bullone…ha preso mazzate è stata scossa da vibrazioni spinali, è affondata ed è risalita su dossi impossibili, ha tossito e si è rimessa a tirare nonostante la benzina che capita…Scrivo queste cose per invitare a usare con fiducia la propria moto perché lei lo sente, e allora farà di tutto per meritarla.
