Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Giulietta, primo amore

La Giulietta mi conquistò da bambino, forse perché legata a uno dei miei primi ricordi “da grande”, ovvero la visita che feci al salone dell’Auto di Torino nella primavera del 1954 per accompagnare mio padre che voleva comprarne una. Si parlava da mesi di quell’agile berlinetta Alfa Romeo (io ho imparato a leggere su Quattroruote!) che all’interno del Salone si esponeva , senza che fosse ancora una presentazione ufficiale, in livrea azzurrina mentre fuori, nell’adiacente Parco del Valentino, ce n’era una rossa come il peccato e fotografi e curiosi erano tutti per lei. 

1954, Torino. la prima versione della Giulietta Sprint al parco del Valentino

I due esemplari erano smaglianti e bellissimi, con alcuni particolari che sarebbero stati semplificati nella successiva produzione in serie, tipo il portellone posteriore che incorporava il lunotto e si apriva lateralmente come sulle prestigiose e lussuosissime Aston Martin inglesi. Io ero così ammirato e felice che prima o poi una di quelle sarebbe arrivate in casa che per l’eccitazione mi scappava continuamente la pipì e mio padre, che si stufava ad accompagnarmi nei bagni, mi ingiunse di farla dietro un gigantesco bagolaro (celtis australis, albero meraviglioso che andrebbe piantato in ogni pendio a contrastare dilavamenti e frane). 

Di Giulietta Sprint in casa ne arrivarono in successione due, anche se toccò aspettare più di un anno per avere la prima. Azzurra, due posti secchi per i passeggeri e una rigida panchetta posteriore con le asole per le valigie che avrei condiviso con mio fratello Emanuele, una prima serie, con la leva del cambio Borg Warner fissata al piantone dello sterzo. 

Il cambio al volante sulla Giulietta sprint prima serie

Era una stranezza per un’auto sportiva e infatti fu sostituita a partire dal 1958 da un cambio a cloche sul pavimento su licenza Porsche. Nel 1959 arrivò la seconda Giulietta che aveva qualche cavallo in più, il cambio sul pavimento e il nuovo face-lifting con cromature e fanaleria ridisegnata dal giovanissimo Giorgetto Giugiaro, appena assunto alla Bertone e il cui primo compito fu proprio di ringiovanire lo stupendo disegno opera del talento di tre grandi disegnatori: Giuseppe Scarnati, Mario Felice Boano e Franco Scaglione

1957 Giulietta Sprint prima serie
il restyling di Giugiaro del 1959

Purtroppo mio padre la godette poco. Nel giugno del 1959 morì in un incidente aereo e l’auto fu venduta. Inutilmente tentai di persuadere mio fratello maggiore Franco, che aveva già diciott’anni, di tenerla lui e di passarmela quando fossi cresciuto, come certe giacchette e pantaloni riciclati dalle parsimoniose generazioni del dopoguerra (mia madre conservava, le carte da imballo, i nastrini e gli spaghi dei pacchetti!), ma non lo convinsi. Forse gli sembrava troppo per un diciottenne sfoggiare una Giulietta Sprint (che non avrebbe saputo come mantenere!) o si obbligò a imprimere una svolta austera al nuovo improvviso terribile ruolo di capofamiglia che annientava la sua giovinezza e i desideri proibiti. Gli tenni il muso per un po’ e non volli accompagnarlo quando la restituì al concessionario. 

Avevo un paio di modellini della Giulietta Sprint, il migliore in pressofusione della casa italiana Mercury, abbastanza ben fatto ma in una scala leggermente inferiore a quella canonica 1:43 che lo faceva sfigurare accanto alle meglio rifinite Dinky e Corgi Toys inglesi, alle francesi Solido, alle tedesche Märklin e Schuco. Ne avevo anche una in plastica della Norev (mi piaceva meno perché troppo approssimativa, comunque sempre meglio di niente). 

Mercury, modellino della Giulietta Sprint
Norev, modellino della Giulietta Sprint

In quegli anni mi capitava di fare uno strano sogno: mi accorgevo che le mie Giuliette crescevano sugli scaffali ogni giorno un po’. Diventavano sempre più grandi, come succedeva a me. Una delle due addirittura mi parlava: quando avrai diciott’anni e potrei guidare, saremo diventate grandi come quelle vere e di Giuliette ne avrai due! Mi svegliavo infelice perché non era che un sogno ma al tempo stesso fiducioso in un destino che forse non mi sarebbe stato avverso. 

1969, restaurando una Matchless 350
con l’amico Beppe Caravita
1966 Moto Guzzi Stornello 125 Regolarità “casa”

A diciott’anni stranamente non smaniai per prendere la patente. Mi piacevano più le moto che le auto e mi bastava il patentino per guidare uno Stornello Guzzi 125 Regolarità, preparato dagli elaboratori milanesi fratelli Perere in Corso di Porta Nuova, ricettacolo di appassionati e baùscia in proporzioni uguali. La patente la presi a 22 anni e solo perché volevo fare un viaggio in Africa. Per la bisogna avevo comprato per pochi soldi una vecchia Land Rover militare del B.A.O.R (British Army of the Rhine) di stanza in Germania, quindi con la guida giusta a sinistra, che rimisi a posto insieme a una pattuglia di meccanici e carrozzieri che mi insegnarono le cose importanti della vita e che da allora sono rimasti amici per la pelle.

1960, Land Rover series II

Amai molto quella Land Rover che però beveva come una spugna. Aveva fortunatamente, come molti mezzi militari, due serbatoi. In uno mettevo la benzina (poca), l’altro lo riempivo col kerosene da riscaldamento che costava un terzo. Quando il motore era caldo giravo la manopola e la macchina andava avanti a kerosene, bastava avere l’accortezza di riportarla a benzina prima di fermarsi se no non sarebbe ripartita.  Credo di averne già parlato, sappiate che, se mai vi capitasse una vecchia carcassa a benzina, i costi di gestione sarebbero di molto ridimensionati.

La vendetti quando mi trasferii a Roma attratto dal miraggio del cinema, diventato nel frattempo l’ossessione numero uno. Coi primi guadagni mi comprai finalmente una Giulietta Sprint, scesa nel frattempo a cifre commestibili, meno di un’utilitaria di seconda mano. Pagai la mia 2 milioni di lire, giusto 1.000 euro di oggi sempre che si accetti il cambio ufficiale. Era una seconda serie del 1962, colore Blu Tornado, con uno stupendo volante Nardi in mogano che da solo varrebbe oggi il costo della macchina.

Giulietta sprint 1962, volante Nardi
Giulietta sprint 1962, vano motore

Era molto bella e divertente da guidare, non mi spaventavano nemmeno le lunghe corse autostradali, anche se bucai un pistone sulla Roma-Milano (ma arrivai dal meccanico a tre cilindri senza l’umiliazione del carro attrezzi!). Fu la mia fedele compagna per quattro/cinque anni finché nell’inverno del 1988 mi fu rubata sotto casa di mia madre dai soliti ignoti, più abili dei ladruncoli di Mario Monicelli. Non potei che denunciare il furto e maledirli nella lingua diventata nel frattempo la mia: mortacci vostra. 

1958, I soliti ignoti di Mario Monicelli. Da sx: Vittorio Gassman, Tiberio Murgia, Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Carlo Pisacane, Totò

Qualche anno più tardi ne trovai un’altra, stessa serie, anzi una delle ultime prodotte, in ordine di meccanica e carrozzeria (per cui non ci fu bisogno di interventi e salassi relativi). La cedetti sulle soglie del nuovo secolo pentendomene amaramente. Non mi aveva mai tradito, mai lasciato per strada, mai dato noie, qualsiasi meccanico sapeva metterci le mani e una volta, a un semaforo di piazzale Maciachini a Milano, un vecchio signore con orgoglioso baschetto blu in testa si avvicinò al finestrino per dirmi che l’aveva fatta un lui, operaio al Portello, la vecchia sede Alfa Romeo dei tempi d’oro. Invece l’ho tradita io.

2002, Giulietta sprint del 1962, foto di Marco Risi