Car and Friends

Valerio Berruti
Marco Tullio Giordana

Tutto quello che non dovete sapere sulle auto

Elogio dell’auto, un mezzo di comunicazione di massa. Ma oggi…

Se l’automobile fosse soltanto un mezzo di locomozione e di trasporto; un apparato meccanico per muoversi più comodamente e velocemente; un marchingegno per viaggiare, per spostarsi e spostare qualcosa, allora non vanterebbe una sua storia, una tradizione e una cultura. Non alimenterebbe una produzione mediatica, con articoli e supplementi dei giornali, periodici specializzati, programmi televisivi, convegni e dibattiti.

Proviamo, dunque, a pensare l’automobile come un “medium”, uno dei tanti mass media che popolano la società contemporanea, un mezzo di comunicazione di massa che serve appunto a mettere in collegamento persone lontane e diverse. La stampa, la radio, la televisione, il telefono o Internet, funzionano notoriamente a distanza, consentendo agli interlocutori di restare ognuno dove si trova. L’auto, fornendo in più il movimento o il trasporto, assicura anche il contatto fisico, diretto, interpersonale.

È per questo che si può definire, innanzitutto, uno strumento di libertà, individuale e collettiva. Un supporto pressoché indispensabile per l’esercizio quotidiano della propria libertà personale. E ormai, al ritmo frenetico della vita moderna, perfino una condizione di libertà: per circolare, per lavorare, per riposarsi, per divertirsi, insomma per sopravvivere.

Ma, proprio in quanto mass media, l’automobile è in grado di realizzare un transfert a livello psicologico, cioè una traslazione, un meccanismo che – oltre a spostare le persone e le cose materiali – trasferisce anche pensieri, emozioni, sentimenti. Diventa così, per chi la possiede e la utilizza, proiezione di sé, del proprio io, della propria indole e mentalità. E di conseguenza, a vario titolo, oggetto del desiderio; mito e tabù; status symbol; bene da investimento; strumento per la produzione del reddito oppure di seduzione; guscio protettivo; casa o ufficio viaggiante; alcova di fortuna, più o meno clandestina.

Nella civiltà della comunicazione di massa, l’immagine della quattro ruote riassume la dimensione dell’essere e dell’apparire. Da un lato, la concretezza tangibile del mezzo meccanico, con le sue funzioni essenziali e la sua utilità pratica. Dall’altro, il valore emblematico dell’immagine, dello stile e della rappresentazione estetica. Un mix perfetto, quindi, di forma e sostanza, ragione e passione, dovere e piacere.

La potenza e l’affidabilità del motore, il comfort della vettura, le caratteristiche di consumo, contano perciò quanto la carrozzeria, la linea o il colore. Quello che si stabilisce tra il guidatore e l’auto è spesso un rapporto simbiotico, nonostante la “macchina” non abbia certamente le qualità vitali di un animale domestico, di un cane o di un cavallo. Non a caso molti ne sono gelosi, non la prestano volentieri né la lasciano portare ad altri. Le riservano attenzioni e cure particolari. Le parlano, perfino, magari sottovoce o quando sono soli. E qualcuno arriva addirittura ad assegnare alla propria macchina un soprannome confidenziale.

Non si tratta, però, solo di fanatici o di maniaci. A lungo andare, la quattro ruote  diventa per tutti luogo delle memorie, contenitore delle nostre gioie e dei nostri dolori, in qualche modo insomma compagna di vita. Personalmente, ricordo bene le auto che ho posseduto, ognuna legata a una stagione particolare, a una città, a un lavoro, a una vacanza, a un rapporto d’amicizia o d’altro: dalla Mini Cooper bicolore con cui ebbi il mio primo incidente nel traffico urbano alla station wagon Bmw a trazione integrale con cui amo viaggiare in autostrada e ancor più sulle strade tortuose di montagna. E poi, come dimenticare il coupé sportivo del viaggio di nozze, la vecchia 500 regalata a mia moglie, la cinque porte più confortevole per la nascita del primo figlio, la berlina famigliare, le macchine dei ragazzi, il fuoristrada giapponese delle vacanze felici sulla neve?

Ogni auto è un pezzo di vita personale. Un frammento di memoria. Un ricordo. Non ho ritegno a dire che di solito mi affeziono alle mie macchine e mi dispiace separarmene quando devo cambiarle. Ma ogni volta la storia ricomincia, si fa presto a conoscersi, a scoprire pregi e difetti, a fidarsi l’uno dell’altra. Più che un piacere, la guida è una passione che può dare gioie e a volte anche delusioni o dolori, ma per me è sempre un’occasione propizia per distendermi, per rilassarmi e magari per riflettere su ciò che devo fare o non fare quando non sono al volante.

L’ho coltivato negli anni, questo rapporto. Seguendo la Formula Uno, in tv o a volte negli autodromi. Frequentando corsi di guida sicura, sportiva e perfino acrobatica, sull’asfalto o sulla neve. Guidando su strada o in pista alcune affascinanti auto storiche. Disputando con queste “vecchie signore” diverse gare di regolarità o di velocità, comprese quattro rievocazioni della mitica “Mille Miglia”, una festa di popolo che si rianima prodigiosamente a ogni edizione. E tuttora, quando mi metto al volante, quelle esperienze mi aiutano a concentrami, cercando di migliorare la tecnica e di prevenire errori miei o altrui.

Oggi che la congestione del traffico urbano da una parte e i limiti di velocità su strade e autostrade dall’altra inducono ormai a un uso più parsimonioso dell’auto, mi riservo preferibilmente il piacere della guida nei momenti di relax, nei weekend e nei viaggi di vacanza. È un modo anche per contribuire alla lotta contro l’inquinamento atmosferico, in attesa che la quattro ruote diventi sempre più verde con il favore della ricerca e della tecnologia. Ma scopro contemporaneamente il gusto di risparmiare carburante, gomme e freni, percorrendo lunghe distanze senza fermarmi al distributore, colloquiando con il navigatore satellitare e ascoltando lo stereo di bordo. Un vecchio amore non si scorda mai, neppure quando passa il tempo e cambiano inevitabilmente le condizioni, di contesto o di spirito.