Stiamo raccogliendo le firme per l’estromissione dal vocabolario dell’aggettivo “iconico”. Ormai invalso al punto che tutto è diventato “iconico”, non solo un’immagine qualsivoglia (che sarebbe l’unico modo corretto per affibbiarlo) ma perfino un concetto, una persona, un modo di dire, qualcosa che magari non c’entra niente con l’immagine (e dunque con la pertinenza di “iconicità”) ma solo con la mala parlata del giornalismo pigro, l’ennesimo luogo comune o gergo (un altro di questi era la famosa “narrazione” contro cui ci siamo già scagliati!) che magari ballerà per una sola estate ma intanto guasta la lingua e rende tutto uguale, già sentito, già letto.
Recita la Treccani: icònico agg. [der. del gr. εἰκών -όνος «immagine»] (pl. m. –ci). – 1. Relativo all’immagine, o, più spesso, riferito a simboli e sim., che è conforme all’immagine del simboleggiato; in partic., segno i., rapporto i. (tra segno e oggetto significato), in semiologia. 2. In storia dell’arte, è adoperato talvolta (in contrapp. a aniconico) come sinonimo. di figurativo, detto di pitture e sculture che si propongono un notevole grado di rassomiglianza o corrispondenza formale con l’oggetto rappresentato.
Invece “Iconico” viene ormai definito anche il piatto sopraffino dello chef, l’oggetto d’arredamento che abbia conquistato l’approvazione di massa, la canzone, un soprabito, una località vacanziera, una marca di orologi, una pomposa autovettura, un arrogante motociclo… qualsiasi cosa che per il prosatore privo di fantasia (e vocabolario) evochi esclusività o riconoscibilità immediata, un “ci siamo capiti, neh?” che suggerisca complicità e pappa e ciccia col lettore, non immaginando il suo fastidio per la frase fatta e lo slang modaiolo . Si, è vero, col tempo stiamo diventando sempre più intolleranti. E allora?