Chi avrebbe mai detto che un’automobile per bambini avrebbe dato vita a una piccola serie per fanciulli facoltosi? E che si sarebbe reincarnata in un giocattolo per adulti dal costo proibitivo e dalla lista chiusa? È il caso della Baby II Type 35 Centenary Edition, costruita a mano in sei esemplari dalla The Little Car Company (ora Hedley Studios in omaggio a Ben Hedley, suo fondatore e CEO) nella sua sede di Bicester, nell’Oxfordshire, Regno Unito.
Questa factory è infatti specializzata nella “ricostruzione” in scala di modelli leggendari come la Ferrari Testa Rossa Jr Series, la Bentley Blower Jr Series e la Aston Martin DB5 Jr Collection, identici agli originali salvo che nelle motorizzazioni (elettriche) e nelle proporzioni.

Auto per bambini solo per modo di dire, dato che anche con la più locupletata delle “paghette” sarà difficile anche per il più viziato tirar fuori le oltre 60/70mila sterline necessarie per portarsi a casa un’auto che si può guidare solo in giardino o nella pista privata. Si tratterebbe comunque – ne sono certo – di un ottimo investimento, dato che queste serie limitate aumenteranno il loro valore grazie alla smania dei nuovi ricchi di possedere oggetti unici ed “esclusivi”.

E dato che questi aumentano esponenzialmente – malgrado l’inflazione, le guerre, l’incertezza e il delirio geopolitico – dovrebbe esserci sempre una crescita del valore di questi manufatti, un po’ come nel mercato dell’arte dove, malgrado l’esplosione di “bolle” ricorrenti, si registrano profitti colossali. Anche se un adulto, in codeste macchinine, non riesce nemmeno entrarci.
Ma quando è cominciato? Tutto ha inizio nella prima metà degli anni Venti, quando Ettore Bugatti, il costruttore di vittoriose auto sportive e super lussuosissime autovetture per regnanti e milionari, decide di far costruire nei capannoni di Mulhouse un’automobilina elettrica per far giocare il figlioletto Roland (4 anni) e impratichirlo alla guida e al destino di futuro industriale.

Si trattava di una replica perfetta delle Type 35 che davano filo da torcere in pista alle nostre Alfa Romeo o alle Delage, Delahaye e Peugeot francesi, un modello in scala ridotta che non aveva nulla da invidiare alle originali e che scatenò nel mondo intero la voglia di possederne una per la propria amatissima prole, sempre a patto di un portafoglio adeguato. D’altronde l’auto era qualcosa di accessibile solo a chi aveva soldi, gli altri potevano solo sognarla e fantasticare.

Fu così che parecchie famiglie regnanti o facoltosi industriali consentirono ai propri figli di sviluppare per l’automobile una passione precoce, com’è stato per Gianni Agnelli la cui Bugatti Baby (con la quale gareggiava col cuginetto Giovanni Nasi) è tuttora visibile al Museo dell’Automobile di Torino che porta il sui nome.

Per altri questo precoce contatto fu invece determinante a sviluppare virtù e ardimenti agonistici, come fu il caso del recordman inglese Donald Campbell o del pilota argentino Jackie Forrest Greene.


