Perché spider? Se parliamo di automobili è chiaro a tutti come questi oggetti su ruote siano da sempre la rappresentazione autentica e assoluta del bello del viaggiare a motore, di quel gusto forte di guidare anche solo per farlo, ancora meglio se senza meta e limiti di tempo.
È impossibile negare che proprio l’irrazionalità della spider è un elemento fondamentale del successo dell’auto in quanto tale; quel che è certo è che proprio il concetto della vettura aperta con “due posti secchi” è il solo che ha attraversato la storia delle quattro ruote senza mai tradirsi o anche solo cambiare, alla faccia dell’evoluzione tecnica e della specie.

Già le origini del termine “spider” sono intriganti: qualcuno sostiene la paternità britannica, da speed (velocità) e quindi speeder; sarebbero poi stati i francesi che in omaggio al loro accento avrebbero storpiato la grafia in “spidèr” che a sua volta avrebbe riattraversato la manica assumendo la definitiva pronuncia inglese. Sia come sia il termine ha subito poi ulteriori storpiature come è il caso di spyder, utilizzato prima da Porsche e poi da Maserati e Lamborghini. Non è nemmeno importante se qualcuno ha voluto nel tempo definirla in modi diversi, come cabriolet, drophead coupé, roadster, decapottabile, speedster e via dicendo.

In ogni caso se dici spider sai di cosa stai parlando, in qualsiasi epoca e a qualsiasi latitudine e non è una battuta dire che da sempre è stata un’auto “globale” anche prima di sapere cosa questa parola volesse significare; l’importante era sintetizzare in un’auto tutto quello che rende il guidare contemporaneamente glamour ed entusiasmante.

La spider è bella, sempre e comunque, perché è slanciata, sfacciata ed è nella sostanza l’auto che ti veste senza coprirti; guidi e ci metti la faccia. Un’auto da godere individualmente, al massimo da condividere con un/una complice selezionato/a. Niente “passeggeri” quindi, al massimo una vittima più o meno consapevole nelle mani di chi è al volante che a, seconda dei casi, si limita a esibire il mezzo o pretende di imporre i propri entusiasmi di driver.

È bella soprattutto perché gli stilisti sanno che possono osare qualcosa in più e lasciar scorrere più passione dalla matita alla carta, aggiungendo poi il piacere di creare degli interni che “si vedono” e come tali meritano qualche attenzione in più. La spider è un po’ il Martini delle automobili, un cocktail talmente essenziale da dipendere dai dettagli e non poter essere stravolto. Semplice quanto delicatissimo, Nel corso della storia dell’auto qualcuno ha provato a civilizzare l’essenzialità dei due posti secchi open air; ma il pubblico non ha sempre apprezzato le buone intenzioni dei costruttori, come se il comfort e la praticità possano inquinare il clima necessario a chi guida solo per passione.

Che sia una MG degli anni Cinquanta o una Corvette di ultima generazione, non bastano certo uno spiffero a tetto chiuso o qualche goccia d’acqua dopo il lavaggio a spegnere l’entusiasmo per un’auto votata alla libertà a cielo aperto; tanto che i diversi accorgimenti per adattare la spider a tutte le stagioni, intendendo il tetto rigido smontabile o quelli ripiegabili, non hanno influenzato l’evoluzione di questi modelli. Semmai proprio l’evoluzione tecnica dei materiali e dei meccanismi ha permesso di mantenere ancora oggi, senza compromessi, la preziosa tradizione della classicissima capote in tela.

Estetica, entusiasmo e piacere della guida sono gli eterni ingredienti che il tempo, il traffico e le temutissime normative sulla sicurezza non hanno mai scalfito, proprio perché rimangono la ragion d’essere di un modo di guidare e di vivere la strada che non si vergognano di essere irrazionali, come irrazionale deve essere il progetto di una vera spider.
Non è un caso se oggi di auto del genere ne rimangono poche: ci vuole l’anima, la tradizione, il coraggio di partecipare sapendo che il campo è piccolo e i clienti molto esigenti; roba da marchi storici capaci di giocare anche sulla nostalgia e il fascino d’antan. Nomi come Jaguar, Mercedes, Porsche, per citare solo i più grandi (dai quali al momento manca Alfa Romeo).

Per questo il fenomeno Mazda MX-5/Miata fa caso a sé, a celebrare il coraggio di una casa giapponese pronta a scommettere che una spider fatta come si deve avrebbe avuto un mercato non marginale anche senza radici. Lo stratagemma è stato tutto sommato banale, come prendere qualcosa di classico (nello specifico la Lotus Elan degli anni sessanta) e “reinterpretarla” con le tecnologie moderne, ma l’operazione è talmente riuscita che il nuovo progetto è stato anche capace di assumere, con poche modifiche, le sembianze e l’anima di un’icona italiana come la Fiat 124 Spider.


I puristi sono convinti che la spider non sia solo una “sportiva aperta” in senso prestazionale, ma piuttosto uno stato d’animo su ruote che esalta il sogno di libertà che accompagna l’automobile dalla sua nascita e che continuerà finché qualcuno di divertirà a guidare.