Per decenni ho fatto parte del popolo alfista. Dapprima negli Anni Ottanta un’Alfasud color terra di Siena, una tonalità oggetto di lazzi irripetibili, altro che inno al corpo sciolto. Poi una voluminosa 164 di seconda mano, sterzo e parcheggi magistrali. Finalmente la svolta con una GTV coupé 2000 sei cilindri Turbo Garrett che faceva letteralmente sbracciare dalla gioia il benzinaio bengalese dove mi fermavo per un inesauribile rifornimento. Alessandro Di Croce, il meccanico Alfa di riferimento a Roma, sentenziò che motori come quello non se ne progettavano più dal 1995.

Dal concessionario Alfa in viale Manzoni rincararono “Dottò, ora che l’ha data via se l’è comprata un Rom, un boss della Magliana”. Della Giulietta nero ministeriale non posso dire altro che bene, per quanto un’Alfa Romeo dalle passioni tristi. Non è che nella vita puoi spigne sempre. Nella testa di un alfista persiste un retropensiero, puoi parlare pacato ma se c’è bisogno puoi battere i pugni sul tavolo. Uno dovrebbe pensare con il primo cervello che si trova nella teca cranica, poi si accorge che spesso pensa con il secondo che si trova nell’addome. Credo che sia così per tutto il mondo delle merci, vedi marketing.

Forse Fabio Bartolomei, l’autore con Noi e la Giulia, il suo romanzo di esordio pubblicato per E/O (una volta e/o) nel 2012, appartiene al popolo degli alfisti. E questo non è poco. La storia è talmente avvincente che il cinema non poteva rimanerne indifferente. Edoardo Leo, nelle vesti di regista, sceneggiatore e attore, insieme ad un cast navigatissimo, Luca Argentero, Claudio Amendola, Anna Foglietta, Carlo Buccirosso e Stefano Fresi (il padre Piero mio compagno di banco al liceo) ha realizzato un film nel 2015 che Netflix ha riproposto al grande pubblico.

Casualmente tre amici infelici e falliti, come confesseranno al termine della storia, Leo (nella parte di Fausto, un piazzista televisivo di orologi tarocchi), Argentero (Diego, un venditore di auto, frustrato e solitario), Fresi (Claudio, uno che ha mandato a rotoli l’attività di famiglia e si trova ai titoli di coda del suo matrimonio) decidono di ‘svoltare’, come si dice a Roma. Comprano in società un vecchio casale in Campania (gli esterni in realtà sono stati girati in Basilicata) per trasformarlo in un agriturismo.

Litigiosi e confusionari, non sembrerebbero destinati a realizzare il loro progetto, se non si facessero sotto Sergio (Amendola) un vecchio creditore di Fausto, ed Elisa, una stralunata e bravissima Anna Foglietta. In un mix di adesione al comunismo d’antan Sergio orienta verso una visione collettivistica e cooperativa l’impresa comune, anche grazie alla creatività sognatrice di Elisa, incinta e con una speranza di futuro da consegnare alla creatura che porta in grembo, la vicenda si apre ad una nuova fase narrativa.

Ecco, ci vuole un’Alfa Romeo, una Giulia TI 1.3 targata NA 160247 a dettare la svolta. Nel piazzale antistante l’agriturismo si presenta Vito (interpretato da uno straordinario Carlo Buccirosso), una sorta di guappo camorrista che avanza la pretesa di imporre il ‘pizzo’ sull’attività dell’impresa. No pasarán, questa la linea che Sergio, comunista e rivoluzionario, detta ai suoi amici. Il camorrista viene sequestrato e la Giulia, tenuta in modo dignitoso con tanto di enorme corno rosso appeso allo specchietto retrovisore e con magneti adesivi sul cruscotto in cui fede, superstizione e vita mariuola si intrecciano magnificamente, diventa la protagonista. Quella Giulia TI 1.3 bisogna farla sparire, magari sotterrandola in una fossa pensata per costruirci una piscina. Detto fatto. Di notte, con l’aiuto di un bracciante agricolo ghanese, Abu, che ha lucidamente capito come stanno sulla terra Bene e Male, la Giulia TI 1.3 viene interrata e coperta per bene.

Ma l’inventio narrativa, quella che fa compiere balzi in avanti all’arte di raccontare, finalmente si esprime, perché la Giulia riserva una sorpresa di quelle che nessuno può prevedere. L’autoradio montata da Vito, il camorrista in sedicesimo, all’improvviso si mette a suonare. Il mangianastri difettoso, alimentato da un’inesauribile batteria, rivela i gusti da melomane raffinato di Vito. Addirittura un brano musicale di Antonin Dvorák tra le incisioni registrate, come a voler significare che nessuno è dannato per sempre.
Insomma, l’impresa decolla, la Giulia sepolta con la sua musica improvvisa incanta e seduce gli ospiti e l’agriturismo diventa meta di guadagni e di successi. Ma con la camorra bisogna fare i conti, perché lo Stato non è san Giorgio. Bisogna salvarsi e sarà Vito il mariuolo a suggerire la soluzione. Occorre dissotterrare non l’ascia ma la Giulia. Velocemente, prima delle luci dell’alba, scava scava e l’Alfa Romeo, protetta da un telo di plastica, riemerge dalla terra. Una bella spinta e tutti a bordo. Facile con i sedili anteriori e posteriori a divanetto. Un modello che era stato omologato per sei posti. Davanti Diego ed Elisa, dietro Fausto Sergio e Claudio. Stretti ma salvi su un’auto disegnata dal vento, come diceva una pubblicità della Giulia degli Anni Sessanta e Settanta perché l’aerodinamica era stata testata nella galleria del vento.

Un milione di esemplari, un’auto da poliziotti e rapinatori, tosta e vivace, con quella leva del cambio dagli innesti corti e precisi, quando ai piedi era affidato il compito di muoversi entrambi e alle mani di agire in armonia. Oggi l’automatico ha fatto la fortuna dei fisioterapisti del piede e della gamba destra, sollecitati oltre misura. Forse è anche per questo che la Sinistra non serve più.
